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Tutto e il contrario di tutto

21 febbraio, la mia amica di Codogno ci scrive su WhatsApp “abbiamo un caso di Coronavirus”, io le rispondo dai, prima o poi da qualche parte doveva succedere, vedrai che lo contengono, e per un po’ continuo la solita vita: porto la Bionda in ospedale per una visita, esco a cena con due amiche, accetto un lavoro impegnativo per un’agenzia di comunicazione praticamente il giorno prima della chiusura delle scuole e passo marzo immersa nelle videochiamate, mentre la vita mi cambia attorno e le mie due figlie sono a casa già da un mese.

Anche per la Bruna questo periodo è stato un mezzo paradosso: interventi fermi, educativa a casa possibile ma che io e David non ci siamo sentiti di accettare, niente più rapporti sociali con conseguenze che capiremo tra un po’ di tempo e, in tutto questo, un’esplosione di miglioramenti dal punto di vista scolastico, frutto di una didattica quasi personalizzata e intensa, coordinata dalle sue insegnanti che hanno saputo cosa e come fare con lei. Sono contenta dei progressi? È chiaro, ma mi sarei giocata volentieri qualche apostrofo corretto per un po’ di vita comune dentro le quattro mura della scuola.

Come tutti aspetto che la scuola ricominci, rispondo di portare pazienza ai suoi “mamma che noia queste giornate senza scuola”, osservo il poco emerso dalle linee guida e mi faccio un po’ di domande.

Mi chiedo se proprio quest’anno non si potesse derogare all’inesistenza della continuità per l’insegnante di sostegno, perché non c’è niente che mi mi chiuda lo stomaco di più che il pensiero di mia figlia che torna in classe tra linee guida, distanziamenti, presidi di sicurezza senza quella che è stata la sua figura di riferimento per quattro anni, pur sapendo che tutti farebbero il possibile per lei come per ogni suo compagno. Mi chiedo cosa ne sarà dell’orario scolastico, come noi genitori potremo parare i colpi di un’eventuale riduzione del tempo scuola, non perché amiamo toglierci i figli di torno e non solo perché abbiamo dei lavori a cui pensare, ma perché i tempi pieni hanno un significato determinante per la vita di tutti i bambini, e di questi bambini in particolare. Mi chiedo come sarà possibile prepararla ad andare in prima media in un anno così, quanta ulteriore fatica dovrà fare a quinto anno di primaria conclusa e se l’unico spunto proveniente da chi dovrebbe pensarci – non le insegnanti, ma chi dovrebbe dettagliare un po’ meglio il concetto di “nessuno escluso” – sarà solo di farle ripetere l’anno.

Foto di Scott Webb da Unsplash

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La scuola che ci manca

Non so se la mia relativa calma di questo periodo sia legata al fatto che ho già fatto esperienza di una cosa che mi ha chiesto di riprogettare la vita, dal lavoro che faccio a dove abito, su fino al futuro, esattamente come faccio oggi, chiusa in casa.

In queste settimane ho ricevuto mille messaggi che chiedevano “Come state?” ma sotto sotto stavano chiedendo: “Come sta la Bruna?”. Per fortuna sta benissimo, lei che non è una tipa che patisce i cambiamenti improvvisi di routine. Sa cosa sta succedendo e ogni tanto, come tutti, chiede e si chiede quando potremo tornare fuori, soprattutto per raggiungere il suo amatissimo gelato allo yogurt e una vagonata di riso e spaghetti al ristorante cinese.

Le manca la scuola? Probabilmente sì.

E lei, manca alla scuola? Voglio sperarlo, anche se questa crisi ha scavato un bel solco tra chi può procedere con un po’ di tranquillità e tutti quelli che sono fragili, da chi ha una disabilità a chi ha pochi giga nel telefono, e solo un telefono, per fare didattica a distanza.

Credo che il 2 aprile 2020 appena passato, giornata della consapevolezza sull’autismo, possa essere estesa di diritto a tutti quelli che sono un po’ più fragili, per dire come sempre che essere different non dovrebbe significare essere less: è uno dei motivi per cui non sposo l’idea di vestire un nastrino azzurro per poter uscire a fare una passeggiata.

Ripartiremo e, citando Gianluca Nicoletti, come sempre qualcosa ci inventeremo, sperando che la prima a farlo sia proprio la scuola e tutti noi insieme a lei: questa sarebbe davvero la grande occasione sprecata.

Foto di Carli Jeen da Unsplash

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(Non) c’è abbastanza tempo

Ho iniziato a pensare alle scuole medie quando la Bruna era in terza elementare e immagino non sia una sorpresa per chiunque abbia un figlio con bisogni più accentuati rispetto ad altri bambini. Ho contattato una scuola e, fortuna mia, ho incontrato un vice preside che ha capito bene la mia ansia e ha ricevuto me e David per un colloquio rasserenante, invece di rimandarmi a tempi più utili.

Se ci penso, è così da quando abbiamo ricevuto la diagnosi, e la fortuna è che la mia preoccupazione di fare cose – portiamoci avanti come motto di una vita – è ben bilanciata da mio marito che ha una fiducia pacata e robusta nelle potenzialità delle sue figlie. Sa aspettare, sa che c’è un tempo per tutto e probabilmente ha una visione del futuro più rotonda della mia, perché più realistica: nessuno di noi due crede nel “tutto è possibile, basta volerlo” ma lui in particolare è capace di sintonizzarsi sulla felicità di nostra figlia, costruendola giorno per giorno.

Costruire il futuro è un lavoro di bilancini e priorità: meglio che sappia prepararsi la colazione o che sappia allacciarsi le scarpe? Meglio che impari in fretta il corsivo o se la e è un verbo o una congiunzione? Devo perdere tempo a convincere mia figlia che a otto, dieci, dodici, sedici, diciotto anni è meglio guardare altre cose in tv o su Netflix invece dei Me contro Te?

Su quest’ultima cosa potreste obiettare che crescere anche da questo punto di vista significa avere più argomenti di conversazione e possibilità di interagire con i coetanei, ma io non so più se questa sia davvero una priorità e quale valore abbia, in generale, trasformarsi a tutti i costi in un essere sociale al costo di non si sa quale stress: sono domande aperte, io non ho le risposte e le ho solo a metà, e mi fa piacere discuterne.

Alcune risposte vengono facili, altre no o comunque – siccome nessuno di noi nasce genitore né padre o madre di figlio disabile, nonostante i meme su Facebook a ricordarti che dal cielo ti hanno scelta perché eri adatto a quel ruolo – si impara col tempo che il tempo conta ma se vuoi coltivare la diversità come un valore, anche la pazienza di aspettare quel che deve essere atteso diventa una nuova prospettiva di vita.

P.S.: La scuola e il PEI

La scuola è dove il tempo invece batte facendo un gran frastuono e dove non c’è mai tempo da perdere: finché c’è la scuola, è importante lavorare a spron battuto e fare affidamento sul PEI, il Piano Educativo Individualizzato, l’unico strumento e progetto che, come dice sempre l’insegnante di mia figlia, è il primo riferimento per sapere esattamente chi è il bambino o il ragazzo che hai di fronte, quali difficoltà ha e come affrontarle, nei dettagli. Abbiamo già a che fare con i sostegni a ruota libera, anno dopo anno, farsi sfuggire il PEI è un rischio da non correre.

La firma del PEI si avvicina ed è il momento di ricordare che noi genitori non siamo solo quelli che approvano firmando, ma che dobbiamo contribuire a costruirlo: se vi dicono che basta firmarlo, chiedete a gran voce di essere coinvolti e dite la vostra, contribuendo con quello che solo voi sapete dei vostri figli a una delle cose più importanti che potete fare nel corso della vita scolastica.

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